Author: | Massimo Campanini | ISBN: | 9788849295085 |
Publisher: | Gangemi Editore | Publication: | March 8, 2017 |
Imprint: | Gangemi Editore | Language: | Italian |
Author: | Massimo Campanini |
ISBN: | 9788849295085 |
Publisher: | Gangemi Editore |
Publication: | March 8, 2017 |
Imprint: | Gangemi Editore |
Language: | Italian |
L'opinione pubblica è largamente persuasa che l'Islam sia una cultura e una religione intrinsecamente violenta. I mass-media accreditano questa immagine veicolando notizie che attengono esclusivamente il terrorismo, la guerra santa, il conculcamento dei diritti delle donne e delle minoranze, eccetera. A mio avviso, il fine è palese: si tratta di costruire il nemico, un esercizio cui il cosiddetto Occidente è abituato e che rappresenta uno dei mezzi più utili di compattamento e di manipolazione e controllo delle menti e dell'opinione pubblica. Dopo la caduta del comunismo, l'Islam è divenuto l'avversario per antonomasia (lo era già nel Medioevo), e dunque ogni mezzo di propaganda è lecito per combattere questo spietato nemico. Naturalmente, l'Islam è una civiltà ricca e complessa e il problema della guerra santa o jihād (almeno secondo la lettura vulgata del jihād) deve essere affrontato alla luce dei testi sacri, della giurisprudenza e della storia. Indubbiamente il jihād inteso proprio in senso bellico è una delle bandiere dell'islamismo politico o islamismo radicale, di cui al-Qa'ida e l'IS rappresentano le fenomenologie più visibili e inquietanti. Sintetizzare nel breve spazio di una decina di cartelle i complessi problemi del jihād e della nascita e dell'evoluzione dell'islamismo politico o islamismo radicale rischierebbe la banalizzazione. Preferisco allora discutere i termini del rapporto violenza e religione nell'Islam sulla base del testo fondativo per eccellenza, il Corano (senza dunque soffermarsi sulla letteratura giuridica) e lasciare a una breve parte finale l'analisi di taluni punti relativi all'accadere storico dell'islamismo politico o radicale.
L'opinione pubblica è largamente persuasa che l'Islam sia una cultura e una religione intrinsecamente violenta. I mass-media accreditano questa immagine veicolando notizie che attengono esclusivamente il terrorismo, la guerra santa, il conculcamento dei diritti delle donne e delle minoranze, eccetera. A mio avviso, il fine è palese: si tratta di costruire il nemico, un esercizio cui il cosiddetto Occidente è abituato e che rappresenta uno dei mezzi più utili di compattamento e di manipolazione e controllo delle menti e dell'opinione pubblica. Dopo la caduta del comunismo, l'Islam è divenuto l'avversario per antonomasia (lo era già nel Medioevo), e dunque ogni mezzo di propaganda è lecito per combattere questo spietato nemico. Naturalmente, l'Islam è una civiltà ricca e complessa e il problema della guerra santa o jihād (almeno secondo la lettura vulgata del jihād) deve essere affrontato alla luce dei testi sacri, della giurisprudenza e della storia. Indubbiamente il jihād inteso proprio in senso bellico è una delle bandiere dell'islamismo politico o islamismo radicale, di cui al-Qa'ida e l'IS rappresentano le fenomenologie più visibili e inquietanti. Sintetizzare nel breve spazio di una decina di cartelle i complessi problemi del jihād e della nascita e dell'evoluzione dell'islamismo politico o islamismo radicale rischierebbe la banalizzazione. Preferisco allora discutere i termini del rapporto violenza e religione nell'Islam sulla base del testo fondativo per eccellenza, il Corano (senza dunque soffermarsi sulla letteratura giuridica) e lasciare a una breve parte finale l'analisi di taluni punti relativi all'accadere storico dell'islamismo politico o radicale.