Author: | Michele Lo Foco | ISBN: | 9788892507623 |
Publisher: | Michele Lo Foco | Publication: | October 15, 2015 |
Imprint: | Language: | Italian |
Author: | Michele Lo Foco |
ISBN: | 9788892507623 |
Publisher: | Michele Lo Foco |
Publication: | October 15, 2015 |
Imprint: | |
Language: | Italian |
Nessuno si occupa più di una poesia entrando nelle parole per scorgere quella visione metafisica che i versi dotati di fascino consentono al di là dei significati delle parole.
Se regalati, i versi forse incuriosiscono perché permettono di penetrare nell’intimo di una persona ed esaminare qualche stanza segreta. Ma così la poesia scade a curiosità, non serve per captare l’infinito.
Incredibilmente è negli ambienti più semplici e meno culturali che agisce ancora come elemento di distinzione.
Purtroppo di questa tendenza approfittano molti editori che speculano sulla buona fede e sul desiderio di “esserci” con libercoli e gare, in un succedersi vorticoso di paesi, teatrini bar e piazze nei quali il povero poeta si ridicolizza declamando inutili parole in libertà.
Viene la voglia di non scrivere più, ci si sente in un settore dimenticato e vessato, in una specie di ghetto.
D’altra parte, in un mondo che tende a sintetizzare tramite messaggi, abbreviazioni, segni, disegnini, il fascino della parola rotonda, del concetto alto, della eleganza di una descrizione, del pensiero che si fa riga e suono non può non scomparire come un profumo che ha perso forza.
Io insisto nella tradizione poetica, isolato, perché, come fosse musica, sento ancora risuonare le note di immagini e ricordi, come fosse fotografia, colgo ancora scene e impressioni della mia vita e della mia giornata.
Insisto perché appartengo a quella generazione che non sapeva sintetizzare ma semmai descrivere, e forse anche perdere un po’ di tempo, romanticamente, per sognare.
Si comincia da giovani a scrivere poesie, nella classica formula del diario, ma oggi che tutte le ore di libertà sono dedicate ai rapporti sociali e alle nuove dilaganti formule di convivenza, non c’è spazio per altro. La poesia ha bisogno di silenzio e di concentrazione, sgorga è vero in modo naturale ma deve essere raffinata, depurata purché abbia un sapore universale. Diversamente rimane un moto dell’anima, rispettabile, ma non per tutti.
A costo di annoiare, consento di nuovo che qualche stanza del mio cervello venga visitata dai pochi lettori, e a me stesso di uscire dalla rigida consecutio dei giorni e dei doveri per dipingere immagini senza senso, o con un senso totalmente astratto da non avere nulla di comprensibile.
D’altra parte non si può impedire all’evoluzione o al tempo di fare le proprie vittime e certamente la poesia è una vittima illustre, ancora, non per molto, esaltata negli studi classici, talvolta citata nei discorsi, ultimamente ripresa al cinema.
Come il latino, come le rime, come le teorie tolemaiche anche la poesia si estingue in favore di forme sincopate di descrizione, o di immagini che non hanno bisogno di commento.
Allora, quando era nel pieno della sua esistenza, la descrizione poetica disegnava un mondo, e nel mondo talvolta le persone e spesso una donna.
Oggi quella visione sfuocata non serve più, se non a chi, come me, pretende ancora di addomesticare la realtà.
Nessuno si occupa più di una poesia entrando nelle parole per scorgere quella visione metafisica che i versi dotati di fascino consentono al di là dei significati delle parole.
Se regalati, i versi forse incuriosiscono perché permettono di penetrare nell’intimo di una persona ed esaminare qualche stanza segreta. Ma così la poesia scade a curiosità, non serve per captare l’infinito.
Incredibilmente è negli ambienti più semplici e meno culturali che agisce ancora come elemento di distinzione.
Purtroppo di questa tendenza approfittano molti editori che speculano sulla buona fede e sul desiderio di “esserci” con libercoli e gare, in un succedersi vorticoso di paesi, teatrini bar e piazze nei quali il povero poeta si ridicolizza declamando inutili parole in libertà.
Viene la voglia di non scrivere più, ci si sente in un settore dimenticato e vessato, in una specie di ghetto.
D’altra parte, in un mondo che tende a sintetizzare tramite messaggi, abbreviazioni, segni, disegnini, il fascino della parola rotonda, del concetto alto, della eleganza di una descrizione, del pensiero che si fa riga e suono non può non scomparire come un profumo che ha perso forza.
Io insisto nella tradizione poetica, isolato, perché, come fosse musica, sento ancora risuonare le note di immagini e ricordi, come fosse fotografia, colgo ancora scene e impressioni della mia vita e della mia giornata.
Insisto perché appartengo a quella generazione che non sapeva sintetizzare ma semmai descrivere, e forse anche perdere un po’ di tempo, romanticamente, per sognare.
Si comincia da giovani a scrivere poesie, nella classica formula del diario, ma oggi che tutte le ore di libertà sono dedicate ai rapporti sociali e alle nuove dilaganti formule di convivenza, non c’è spazio per altro. La poesia ha bisogno di silenzio e di concentrazione, sgorga è vero in modo naturale ma deve essere raffinata, depurata purché abbia un sapore universale. Diversamente rimane un moto dell’anima, rispettabile, ma non per tutti.
A costo di annoiare, consento di nuovo che qualche stanza del mio cervello venga visitata dai pochi lettori, e a me stesso di uscire dalla rigida consecutio dei giorni e dei doveri per dipingere immagini senza senso, o con un senso totalmente astratto da non avere nulla di comprensibile.
D’altra parte non si può impedire all’evoluzione o al tempo di fare le proprie vittime e certamente la poesia è una vittima illustre, ancora, non per molto, esaltata negli studi classici, talvolta citata nei discorsi, ultimamente ripresa al cinema.
Come il latino, come le rime, come le teorie tolemaiche anche la poesia si estingue in favore di forme sincopate di descrizione, o di immagini che non hanno bisogno di commento.
Allora, quando era nel pieno della sua esistenza, la descrizione poetica disegnava un mondo, e nel mondo talvolta le persone e spesso una donna.
Oggi quella visione sfuocata non serve più, se non a chi, come me, pretende ancora di addomesticare la realtà.