Si vince e si perde ovunque, non solo in Italia. Ma in Italia, più spesso che altrove, chi è vinto non accetta la sconfitta. Bisogna saper perdere racconta il declino, l’uscita di scena ma anche l’horror vacui di alcuni degli uomini più potenti del nostro Paese. Politici che sono stati alla guida di un partito, o che hanno governato l’Italia per anni. Che hanno avuto a disposizione soldi e voti. Che hanno regalato sogni e speranze, e attirato invidie e diffidenze. E che prima o poi, inevitabilmente, hanno fatto i conti con il fallimento di un progetto o la fine di una carriera.
Questo libro è una storia pubblica, ma anche un diario privato. Rivela i dubbi di Umberto II e Mario Segni, il risentimento di Parri e Prodi, l’amarezza di De Gasperi, il cinismo di Togliatti, gli insuccessi di Nenni e Fini, le fughe e la pervicacia di Fanfani e De Mita, la rabbia di Craxi, l’ostinazione di Berlusconi, fino all’irruzione di Renzi. C’è chi, ieri come oggi, grida al «colpo di Stato», chi invoca i «brogli», chi si scaglia contro le congiure, chi prepara rivalse e vendette, chi ostacola con ogni mezzo la sua successione e chi ostenta distacco, finge l’addio, ma prova a mantenere il controllo su poltrone e programmi. Perché, a volte, saper perdere conta molto più di vincere. E soprattutto perché la sconfitta svela meglio di qualsiasi vittoria la natura degli uomini e la maturità di una democrazia.
Si vince e si perde ovunque, non solo in Italia. Ma in Italia, più spesso che altrove, chi è vinto non accetta la sconfitta. Bisogna saper perdere racconta il declino, l’uscita di scena ma anche l’horror vacui di alcuni degli uomini più potenti del nostro Paese. Politici che sono stati alla guida di un partito, o che hanno governato l’Italia per anni. Che hanno avuto a disposizione soldi e voti. Che hanno regalato sogni e speranze, e attirato invidie e diffidenze. E che prima o poi, inevitabilmente, hanno fatto i conti con il fallimento di un progetto o la fine di una carriera.
Questo libro è una storia pubblica, ma anche un diario privato. Rivela i dubbi di Umberto II e Mario Segni, il risentimento di Parri e Prodi, l’amarezza di De Gasperi, il cinismo di Togliatti, gli insuccessi di Nenni e Fini, le fughe e la pervicacia di Fanfani e De Mita, la rabbia di Craxi, l’ostinazione di Berlusconi, fino all’irruzione di Renzi. C’è chi, ieri come oggi, grida al «colpo di Stato», chi invoca i «brogli», chi si scaglia contro le congiure, chi prepara rivalse e vendette, chi ostacola con ogni mezzo la sua successione e chi ostenta distacco, finge l’addio, ma prova a mantenere il controllo su poltrone e programmi. Perché, a volte, saper perdere conta molto più di vincere. E soprattutto perché la sconfitta svela meglio di qualsiasi vittoria la natura degli uomini e la maturità di una democrazia.