Author: | Elvio Giudici | ISBN: | 9788865766163 |
Publisher: | Il Saggiatore | Publication: | January 11, 2018 |
Imprint: | Il Saggiatore | Language: | Italian |
Author: | Elvio Giudici |
ISBN: | 9788865766163 |
Publisher: | Il Saggiatore |
Publication: | January 11, 2018 |
Imprint: | Il Saggiatore |
Language: | Italian |
Conclusosi il Settecento, che in Mozart ha conosciuto il culmine e la pienezza dell’espressione musicale, si accendono i fuochi dell’Ottocento. Ovunque in Europa si affermano le identità nazionali, alle quali contribuiscono compositori e platee, e ogni paese scandisce sul palcoscenico le proprie declinazioni artistiche: il gusto per la decorazione proprio degli italiani, l’innegabile tendenza a pontificare dei francesi, l’arte del racconto degli inglesi, lo scavo psicologico dei tedeschi. Ma, nonostante i diversi modi formali che le sensibilità nazionali suggeriscono ad autori come Čajkovskij, Musorgskij, Rossini, Donizetti, Offenbach, Bizet, Bellini, resta fermo, per ciascuno, il proposito del fare «teatro in musica»: narrare una storia che coinvolga e interroghi il pubblico, mettendo in discussione la realtà in cui vive. Dal giorno della prima messinscena fino a oggi.In questo volume, la monumentale storia dell’opera e della sua rappresentazione di Elvio Giudici racconta la potenza di melodrammi nati ormai due secoli fa eppure vivissimi, passandoli in rassegna uno a uno e incentrando la narrazione là dove pulsa il suo cuore: sull’allestimento e sull’interpretazione degli spettacoli. È la stretta complicità fra regia e direzione che crea il capolavoro, ed è quando il gesto scenico suggerisce il gesto musicale e il musicale quello scenico che il melodramma acquista il suo senso artistico e umano più profondo.Con passione inesausta ed estro critico, Giudici sprona allora gli «impresari» ad abbandonare – e il pubblico a pretendere che vengano abbandonati – costumi più o meno fastosi, tele dipinte più o meno spettacolari, parate di masse più o meno oceaniche, per concentrarsi sulla recitazione e sulle relazioni fra i personaggi. E fa sfilare in queste pagine tutti i grandi registi, direttori e cantanti che dal secondo dopoguerra hanno traghettato l’opera lirica ottocentesca verso orizzonti sempre nuovi, che di volta in volta accendono entusiasmi e aspri dissensi, a riprova di un’inesauribile vitalità. E grazie a spettacoli come la Carmen di Emma Dante e Barenboim, Il principe Igor di Černjakov e Noseda, il Barbiere della premiata ditta Leiser & Caurier con Pappano, la Norma di Michieletto e Antonini con una Bartoli neorealista alla Magnani, il miracolo dell’opera continua a rinnovarsi.
Conclusosi il Settecento, che in Mozart ha conosciuto il culmine e la pienezza dell’espressione musicale, si accendono i fuochi dell’Ottocento. Ovunque in Europa si affermano le identità nazionali, alle quali contribuiscono compositori e platee, e ogni paese scandisce sul palcoscenico le proprie declinazioni artistiche: il gusto per la decorazione proprio degli italiani, l’innegabile tendenza a pontificare dei francesi, l’arte del racconto degli inglesi, lo scavo psicologico dei tedeschi. Ma, nonostante i diversi modi formali che le sensibilità nazionali suggeriscono ad autori come Čajkovskij, Musorgskij, Rossini, Donizetti, Offenbach, Bizet, Bellini, resta fermo, per ciascuno, il proposito del fare «teatro in musica»: narrare una storia che coinvolga e interroghi il pubblico, mettendo in discussione la realtà in cui vive. Dal giorno della prima messinscena fino a oggi.In questo volume, la monumentale storia dell’opera e della sua rappresentazione di Elvio Giudici racconta la potenza di melodrammi nati ormai due secoli fa eppure vivissimi, passandoli in rassegna uno a uno e incentrando la narrazione là dove pulsa il suo cuore: sull’allestimento e sull’interpretazione degli spettacoli. È la stretta complicità fra regia e direzione che crea il capolavoro, ed è quando il gesto scenico suggerisce il gesto musicale e il musicale quello scenico che il melodramma acquista il suo senso artistico e umano più profondo.Con passione inesausta ed estro critico, Giudici sprona allora gli «impresari» ad abbandonare – e il pubblico a pretendere che vengano abbandonati – costumi più o meno fastosi, tele dipinte più o meno spettacolari, parate di masse più o meno oceaniche, per concentrarsi sulla recitazione e sulle relazioni fra i personaggi. E fa sfilare in queste pagine tutti i grandi registi, direttori e cantanti che dal secondo dopoguerra hanno traghettato l’opera lirica ottocentesca verso orizzonti sempre nuovi, che di volta in volta accendono entusiasmi e aspri dissensi, a riprova di un’inesauribile vitalità. E grazie a spettacoli come la Carmen di Emma Dante e Barenboim, Il principe Igor di Černjakov e Noseda, il Barbiere della premiata ditta Leiser & Caurier con Pappano, la Norma di Michieletto e Antonini con una Bartoli neorealista alla Magnani, il miracolo dell’opera continua a rinnovarsi.