Author: | Botho Strauss | ISBN: | 9788865764565 |
Publisher: | Il Saggiatore | Publication: | September 28, 2015 |
Imprint: | Il Saggiatore | Language: | Italian |
Author: | Botho Strauss |
ISBN: | 9788865764565 |
Publisher: | Il Saggiatore |
Publication: | September 28, 2015 |
Imprint: | Il Saggiatore |
Language: | Italian |
Quando, agli inizi degli anni settanta, Botho Strauss si trova a fare i conti con la morte del padre, la prima reazione è: silenzio. Nel tempo scrive Origine, rispondendo a un’urgenza che, trasposta sulla pagina, ha la forma di un fluire di parole che mal sopporta di irreggimentarsi in una struttura sintattica – punti, virgole, periodi rivelano la loro nuda arbitrarietà davanti a un dolore inqualificato e inqualificabile. Scrive ma non pubblica: conserva invece il manoscritto, per quarant’anni lo modella perché i contorni, pur senza perdere la spigolosità scabra della prima stesura, assumano la nitidezza e guadagnino la sorvegliatezza che sono destinate a diventare, nel mondo letterario, le qualità più celebrate della sua prosa. Scrittore e drammaturgo fra i più importanti del secondo Novecento, nel confrontarsi con una perdita così oscena da non poter essere affrontata che per lampi, Botho Strauss rievoca dapprima i vestiti distinti del padre, l’attenzione scrupolosa alle buone maniere, la rispettabilità borghese dei rituali domestici, la disciplina divenuta da carattere intima essenza, la serietà nell’avvicinarsi al lavoro, tanto quello farmaceutico – che da sempre rappresentò la fonte di sostentamento della famiglia – quanto la scrittura, che Eduard Strauss con rigidità praticava guardando al grande vate della letteratura tedesca, Thomas Mann, come modello in cui specchiarsi. Solo in un secondo momento, e quasi per ribellione, l’indole si fa corpo: allora lo sguardo di Botho Strauss si posa sulle mani del padre, grandi, ferme, e le mani salgono a coprire un volto solcato da rughe, con l’occhio coperto da una benda – eredità della Prima guerra mondiale – che lo fa rassomigliare a Odino, incarnazione di uno spirito germanico che è solidità, fermezza, orgoglio. Lavoro quotidiano, fatica sopportata stoicamente. A queste mani, alla loro ruvidezza, al loro tremolio, Botho Strauss torna spesso: le tiene accanto, le stringe, trova in loro una sicurezza e una forza che gli sembrano aver lasciato il mondo. Se i corsi e i ricorsi della memoria imprimono a Origine un andamento ondivago e frammentario, memore di Virginia Woolf, è la lingua impiegata da Strauss a garantirne la coesione interna, e l’eccezionalità nel panorama contemporaneo: superando in un unico gesto artistico monologo teatrale e romanzo d’intreccio e aprendosi invece alla poesia, che sola può rappresentare «l’eruzione vulcanica del ricordo», Strauss contagia il lettore con la propria vita, senza fornire altro antidoto al vivere che il vivere stesso.
Quando, agli inizi degli anni settanta, Botho Strauss si trova a fare i conti con la morte del padre, la prima reazione è: silenzio. Nel tempo scrive Origine, rispondendo a un’urgenza che, trasposta sulla pagina, ha la forma di un fluire di parole che mal sopporta di irreggimentarsi in una struttura sintattica – punti, virgole, periodi rivelano la loro nuda arbitrarietà davanti a un dolore inqualificato e inqualificabile. Scrive ma non pubblica: conserva invece il manoscritto, per quarant’anni lo modella perché i contorni, pur senza perdere la spigolosità scabra della prima stesura, assumano la nitidezza e guadagnino la sorvegliatezza che sono destinate a diventare, nel mondo letterario, le qualità più celebrate della sua prosa. Scrittore e drammaturgo fra i più importanti del secondo Novecento, nel confrontarsi con una perdita così oscena da non poter essere affrontata che per lampi, Botho Strauss rievoca dapprima i vestiti distinti del padre, l’attenzione scrupolosa alle buone maniere, la rispettabilità borghese dei rituali domestici, la disciplina divenuta da carattere intima essenza, la serietà nell’avvicinarsi al lavoro, tanto quello farmaceutico – che da sempre rappresentò la fonte di sostentamento della famiglia – quanto la scrittura, che Eduard Strauss con rigidità praticava guardando al grande vate della letteratura tedesca, Thomas Mann, come modello in cui specchiarsi. Solo in un secondo momento, e quasi per ribellione, l’indole si fa corpo: allora lo sguardo di Botho Strauss si posa sulle mani del padre, grandi, ferme, e le mani salgono a coprire un volto solcato da rughe, con l’occhio coperto da una benda – eredità della Prima guerra mondiale – che lo fa rassomigliare a Odino, incarnazione di uno spirito germanico che è solidità, fermezza, orgoglio. Lavoro quotidiano, fatica sopportata stoicamente. A queste mani, alla loro ruvidezza, al loro tremolio, Botho Strauss torna spesso: le tiene accanto, le stringe, trova in loro una sicurezza e una forza che gli sembrano aver lasciato il mondo. Se i corsi e i ricorsi della memoria imprimono a Origine un andamento ondivago e frammentario, memore di Virginia Woolf, è la lingua impiegata da Strauss a garantirne la coesione interna, e l’eccezionalità nel panorama contemporaneo: superando in un unico gesto artistico monologo teatrale e romanzo d’intreccio e aprendosi invece alla poesia, che sola può rappresentare «l’eruzione vulcanica del ricordo», Strauss contagia il lettore con la propria vita, senza fornire altro antidoto al vivere che il vivere stesso.